Eccoci dunque a passeggiare nel personale labirinto che
Israel Varela (Tijuana, Messico 1979) ha realizzato per noi spettatori, questa
sera, alla Casa del Jazz.
E’ un dedalo colorato, il suo, caldo, complesso, poliedrico,
ricco di mille riflessi e sfaccettature ed egli ci conduce, con spontaneità e
naturalezza, nell’arcano dei suoi ritmi dispari, a lui tanto cari.
Tecnica, controllo delle dinamiche, gusto, eleganza, ricerca
di soluzioni al di fuori della banalità: gli ingredienti ci sono tutti, ma
soprattutto c’è un cuore grande e generoso, una profonda spiritualità, una
ricerca, un cammino.
La radice profonda della sua musica va individuata in una
tradizione lontana, nel tempo e nello spazio, dalla contemporaneità
occidentale. Le creazioni di questo compositore, batterista, percussionista e
cantante sono, infatti, molte cose assieme: Jazz, Flamenco, Sud America,
Oriente e chissà quanto altro.
Insieme ai suoi ottimi compagni di viaggio (Luca Bulgarelli
al contrabbasso ed Angelo Trabucco al piano) ci trasporta in un universo
sognante e delicato, costruito su sottili equilibri in cui le intrecciate
strutture ritmiche si incastrano, con gusto, su melodie fluide e, a tratti,
struggenti ed evocative.
Anche la voce di Israel è calda, intensa e profonda. Assieme
alla gradita special guest Rita
Marcotulli ci offrono, sul finale di un concerto scivolato via troppo in
fretta, due bellissimi brani per piano e voce/batteria: “Everything is not”
della Marcotulli ed una personale versione, in spagnolo, di “Quando” di Pino
Daniele che si trasforma in un lungo brivido che attraversa la sala.
Più intime e raccolte, rispetto al suo “Zandar” presentato
alla Casa del Jazz nel 2013 (vedi http://lobetablog.blogspot.it/2013/01/israel-varela-trio-zamar.html)
le composizioni di questo suo “Invocations” (AlfaMusic,2015) proseguono
idealmente il cammino di un artista che fa del proprio personale sguardo sul
mondo la fonte ispiratrice di un messaggio che è di energia e speranza al
medesimo tempo.
Bello, senz’altro bello. E non aggiungo altro.
Marco Lorenzo Faustini, 2015 (testo & foto)
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