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2015/07/02
2015 07 Quattro chiacchiere sulla civiltà, le lattine, la Grecia...
Era piccolo, mio figlio, quando mi fece questa domanda: "Perché ogni tanti vedo che raccogli una lattina dal marciapiede e la getti nel cestino? In fondo la strada continua ad essere sporca...".
In termini di pura logica il mio giovane virgulto aveva tutta la ragione. La strada restava sporca anche con una lattina di meno. E forse era più un bisogno, il mio, di natura edonistica: distinguermi dalla massa che tratta le strade, e più in generale il mondo intero, come una grande discarica. Lo riconosco. Ma c'era anche, dietro il mio gesto insensato, la speranza che la signora che passeggiava col suo cagnolino fosse indotta, osservandomi, a comportamenti più civili. Che il giovane che fumava appoggiato alla palina del tram fosse tentato di non gettare il mozzicone dove capitava.
Lo so, la vita è fatta di un'infinita sequenza di gesti che, presi uno ad uno, non valgono granché. Ma se provi a metterli insieme essi rendono, forse, giustizia ad una rappresentazione più completa delle cose.
Anche oggi so che molti prenderanno in giro il nostro gesto di aderire alla campagna di crowdfunding in favore della Grecia. Cosa saranno quei 5, quei 10 euro di fronte alle cifre vertiginose che i nostri amabili giornalisti continuano a propinarci?
Però forse conta anche il fatto di non accettare il fato così come ci viene proposto. Tentare questi piccoli gesti di disobbedienza civile di fronte al cinismo imperante.
E dunque, amici miei, continuerò a raccattare qualche lattina e a gettarla nel contenitore "plastica & metalli" con la speranza, mi auguro ben riposta, che il materiale raccolto finisca per essere riciclato correttamente.
Continuerò a parcheggiare l'automobile negli appositi spazi. Cercherò di dissuadere il writer dall'imbrattare la metropolitana con le sue stramaledette scritte che rendono difficile perfino individuare le porte di accesso al vagone.
E se questo desterà l'altrui ilarità vi dico: meglio strapparvi un sorriso che una maledizione.
Salute e prosperità a tutti.
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Appena portata fuori la macchina dal cortile condominiale e parcheggiata a filo del marciapiede, lunedì scorso, mi riavvio verso la zona del parcheggio.
Una signora anziana, settantacinque anni, magra, ben vestita, con i capelli corti argentati ben tenuti da una permanente fresca, mi si avvicina e mi fa: "Lei ora va a chiudere il cancello!"
Non conoscendola e non sapendo dove vada a parare le rispondo, asciutto "Eh, sì, quando esco da casa mia, sono abituato a chiudere la porta..." Mi guarda dal basso in alto, lo sguardo scintilla, annuisce sorridendo. "Appena l'ho vista l'ho detto: quel signore va a chiudere il cancello... " e aggiunge, rattristita "è il solo che lo fa... qui parcheggiano tutti come gli pare, vanno e vengono, se uno deve fare un salto a un negozio vicino, parcheggia qui dentro, tanto chi gli dice niente?" e si mette poi a enumerarmi le decine di comportamenti egoistici, scortesi, molesti e prevaricatori di questo o quel condomino e mi racconta di come, qualche volta, d'estate, sia rimasta bloccata in casa perché non riusciva, incerta e malferma nel muoversi, a districarsi dalle auto parcheggiate come capita. Non conosco quasi nessuno, lì; è la casa al mare, dove andiamo di rado, ma non posso che condividere le sue critiche, e come persona anziana capisco che si senta anche senza più voce in capitolo, tra quei tre mucchietti di palazzine che condividono un'area comune di transito e parcheggio. Alla fine della chiacchierata mi sono fatto un'amica.
Quando rientro in auto, dopo aver chiuso il cancello, devo spiegare il ritardo a mia moglie, che è rimasta all'interno, senza neppure l'aria condizionata (eh, sì, quando mi fermo, il motore lo spengo).
Lei scuote la testa e ripete l’opinione che ha di me: non sono adeguato a vivere in questo mondo.
Un caldo saluto.
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