Federico Casagrande e Michele Rabbia suonano brani dal loro album “Ad The End Of The Day”, uscito nello scorso novembre 2014 per la CAM Jazz.
Attraversiamo una Roma che, per essere un sabato di maggio, troviamo insolitamente deserta. E’ calato un caldo improvviso che ha spinto molti alla fuga. Non siamo in tanti, dunque, al Teatro Studio, e lo dico a malincuore; perché chi ha assistito al concerto-performance di Casagrande & Rabbia può considerarsi un po’ un privilegiato.
Capita raramente, infatti, di ascoltare un musicista tanto concentrato sulla ricerca del suono, dell’accordo perfetto, attento ad inseguire fino all’ultima risonanza, l’armonico che appone il sigillo finale ad un tema che parte da un granello di sabbia sul quale si saldano, come in una reazione chimica complessa e controllata, altre strutture. Tutto questo a realizzare, sotto i nostri occhi, una costruzione fragile e bellissima.
Occorre però lasciarsi andare, trasportare da questa deriva piena di melanconia metropolitana (più alla Lars Von Trier che alla Albrecht Dürer). Occorre lasciare che l’omeopatia delle piccole gocce, delle diluite essenze, dell’alchemica, artigianale saggezza faccia il proprio effetto.
Occorre pazienza, amici miei, pazienza, giacché Federico si prende il tempo necessario, lascia rimbalzare il suo accordo fin quando il suo complice Michele Rabbia trova il modo di processarlo, di dargli nuove profondità, nuovi spessori e ritmi.
E’ un esperimento difficile ma assistervi genera una sensazione di calma interiore, rasserena, rallenta il respiro. Attorno alla loro musica si forma un silenzio concentrato, un’attenzione davvero poco comune.
La serata scorre veloce e chi ha già avuto modo di ascoltare il CD ritrova le stesse emozioni, arricchite da quella magia dell’happening: sta accadendo qui, sta accadendo ora.
Il giudizio finale non può che essere positivo: chi vi scrive non può che apprezzare artisti che, suonando dal vivo, non si lasciano prendere dal desiderio di compiacere a tutti i costi, di far-vedere-quanto-siamo-bravi.
Ditemi voi se tutto questo, al tempo delle grancasse e dei tromboni, non è pura virtù.
Marco Lorenzo Faustini
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