Di solito viaggio in compagnia della mia piacevole moglie e dunque non ho grandi necessità di relazionarmi con il resto del mondo. Decenni di matrimonio hanno insegnato ad entrambi il giusto ritmo, il mix ideale tra parole e silenzi, tra grandi verità filosofiche e spicciole amenità.
Quel giorno, per una serie di circostanze decise dal fato e dagli orari di lavoro della sopracitata consorte, mi toccava viaggiare da solo, cosa non del tutto spiacevole. Quattro ore in un bel vagone di I classe, con tanto di graziose hostess che ci proponevano, all inclusive, delle bibite colorate e dei minuscoli biscottini incellophanati. Benissimo.
Pur se il viaggio in se non era troppo lungo, essendo il sottoscritto personaggio ansioso e ipercinetico, oltre che preoccupato per quella salute che dai sessant’anni in poi sembra allontanarsi lentamente come un bastimento all’orizzonte, mi ero provvisto di una decente lettura (Alvaro Mutis) e di un po’ di frutta (questa scrupolosamente lavata, asciugata e riposta nel suo bel sacchetto di plastica assieme a un tovagliolo).
Il treno partì con germanica puntualità e la carrozza che aveva avuto la sorte di trasportarmi (… e diamoci un po’ di importanza ogni tanto!) non risultava particolarmente affollata.
Due file dietro di me c’era una ragazza appena avvizzita che continuava a passarsi del disinfettante sulle mani. Un signore, più o meno mio coetaneo, leggeva un giallo di Perry Mason, una coppia di orientali andava in caccia del proprio posto, lui che guidava le ricerche come se i numeri arabi fossero un’assoluta novità. Comunque anche questi, per fortuna, trovarono la loro collocazione, aiutati da una delle pazientissime hostess.
Dopo un paio di telefonate laconiche (ho lasciato fidanzate o da esse soso stato lasciato per l’impossibilità di sostenere conversazioni via filo più lunghe di cinque minuti) mi accinsi alla desiderata lettura. Tutto a posto, il biglietto pronto a eventuali verifiche del controllore (trattavasi di una delle signorine di cui sopra che, dismessi gli abiti di hostess, si sarebbe calata nel ben più importante ruolo del verificatore).
A treno ormai avviato, di incanto sì materializzò una lunga fila di viaggiatori che, pur avendo posti presso la carrozza 2, erano saliti inesplicabilmente alla 7 e, complici una notevole quantità di bagagli, sporte, borselli, involti e quant’altro, tardarono una buona mezz’ora a sistemarsi.
Maledizione.
C’era, nel gruppone, un paio di bambini piuttosto isterici che però furono messi a tacere dallo sguardo (avrebbe fatto paura a un ufficiale delle SS) minaccioso della madre. Oltre al citato sguardo contribuì alla calma dei due infanti l’offerta di una banana per ciascuno e la somministrazione di due giochini video di quelli che finiranno di rincoglionire una generazione che sarà salvata solo da una pietosa esplosione atomica.
Dopo che tutto sembrava, grazie alla Provvidenza, acquietarsi e la speranza di un viaggio tranquillo pareva dunque riprendere quota ecco che vidi avanzare una coppia caratterizzata da una notevole stazza, sia lei che lui. Entrambi presero posto proprio di fronte a me, non prima di lanciarmi una smorfia che vorrei definire, con cristiana generosità, sorriso.
Prima di sistemarsi la coppia cercò, con parziale successo e in barba alle leggi della fisica, di collocare negli appositi scomparti una notevole quantità di sacchi e sacchetti tutti caratterizzati dal fatto di contenere del cibo. Dalla Rosticceria Gallo Umbro all’enoteca Bernabei, fino a Eataly, Supermercati PAM, Pasticceria Fortunato, Pork House, Casa del Latticino e via dicendo.
Da quel momento il loro viaggio fu un continuo mangiare, sgranocchiare, smandibolare interrotto da gorgoglii che rappresentavano la momentanea sospensione dell’incameramento di cibi solidi per dar spazio alla meritata alternanza con liquidi vari. Dal rum di Giamaica al succo d’arancia, poi salame pre-affettato, pane (Lariano?), fettine di formaggio, una milanese che creò qualche tensione nella coppia che fu presto risolta da un gesto deciso della donna che riuscì a strapparla a metà con le nude mani, valutando con soddisfazione la bontà dell’operazione e facendola seguire poi da un vigoroso succhiarsi tutte e dieci le dita, nessuna esclusa.
Dopo un paio d’ore in due orchi viaggiatori sospesero la propria intensa attività di ingestione/deglutizione ed iniziarono, con sperimentata sincronia di coppia, una fase più squisitamente digestiva, preceduta da 4 mignon di amaro Petrus ciascuno tracannati d’un fiato.
Rilassati e soddisfatti, lei languida appoggiando la propria testolina sulla spalla di lui, quel lui che le sorrise con dolcezza e, dopo essersi tolto scarpe da ginnastica che dovevano aver percorso un paio di volte il Cammino di Santiago, prese a russare come un martello pneumatico da viaggio.
A mezz’ora dall’arrivo i due si svegliarono di nuovo in perfetta sintonia ed entrambi presero a visionare, gli occhi quasi lucidi dall’emozione, sul loro tablet, un interessante tutorial sulla preparazione delle polpette al sugo.
Con la mia consueta fortuna scesero, esattamente come il sottoscritto, a fine corsa però con modi assai urbani riuscirono a cacciare nei pur minuscoli cestini tutti i vari involti, ormai esanimi, utilizzati nel corso del viaggio.
Li lasciai al loro destino e guardai con un po’ di mestizia il torsolo della mela e la buccia della banana che erano i miseri resti del mio parco pranzo. Mentre lasciavo la stazione vidi che la coppia si era fermata al bar dell’atrio. Forse il viaggio aveva messo loro un po’ di appetito, chissà.
P.S. Non ho letto quasi nulla del romanzo di Mutis, forse al ritorno, chissà. In compenso ho scritto questo pezzo e mi sono anche divertito. Voi? Spero di sì.
Sempre vs. umile, m.
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