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2022/09/13

2022 09 Della trasformazione di San Andrés in San Roque o del pragmatismo dei cattolici spagnoli

 

Della trasformazione di San Andrés in San Roque o del pragmatismo dei cattolici spagnoli

 

Un paio di lustri fa mi trovavo a soggiornare con la mia famiglia in una località di quell’ancha Castilla che, pur non godendo della fama della cervantina Mancha, gode pur sempre di tante vestigia e della non trascurabile caratteristica, per chi vi scrive graditissima, d’esser piuttosto spopolata.

Venuto a sapere che a un tiro di schioppo dalla casa rural nella quale alloggiavamo, governata da buona famiglia di lavoratori operosi e timorati di Dio, vi era una piccola chiesa meritevole d’esser visitata, chiesi informazioni sul cammino da fare per raggiungerla.

La stessa era dedicata a San Andrés e, avendo per caso, o per disegno divino, un figlio con quel bel nome, proposi allo stesso -al figlio, intendo, non al Santo- una breve escursione per visionarla.

Ci fu proposto, come primo itinerario, un percorso che salendo su un piccolo monte e ridiscendendo una graziosa valle ci avrebbe portato quasi a ridosso della costruzione. In alternativa ci fu illustrata una più classica strada locale, la quale allungava il tragitto ma lo rendeva più agibile alle nostre abitudini cittadine.

Con mio entusiasmo, non del tutto condiviso dal mio figliolo, imboccammo senza indugio il sentiero avventuroso, ma presto fummo dissuasi dalla presenza di cavalli che non sembravano gradire troppo la nostra compagnia. Più affettuose furono le tante api ma, onde evitare contatti troppo ravvicinati con le stesse, rientrammo sulla nostra decisione e imboccammo perciò la stradina asfaltata.

Accompagnati da un concerto di cicale e da un vento caldo che accarezzava le spighe di agosto, la passeggiata si rivelò abbastanza impegnativa ma, dopo un’oretta di cammino, fummo confortati da un bel cartello lucente che indicava senz’altro la deviazione per la Iglesia de San Andrés.

L’ultimo tratto di strada era piuttosto impervio, l’asfalto pieno di fenditure, e a prudente distanza vedevamo i cavalli di cui sopra e la fila ordinata di arnie affollate di laboriosi insetti.

Il paese ci accolse del tutto disabitato, un comitato di accoglienza composto da un paio di innocui cani che ci osservarono senza troppo emozionarsi. A rendere più bucolico, o georgico forse, il tutto un enorme mucchio di stallatico in attesa d’esser distribuito sugli ampi campi circostanti. In lontananza si udiva il ritmico rumore di una mietitrebbia impegnata nella raccolta del frumento.

Ma la chiesa, dunque? Proseguendo sulla salita giungemmo infine a vederla. Immobile e ieratica, nel tipico stile romanico, essenziale, del tutto a suo agio in quel contesto, come se dopo il passaggio dei dinosauri e delle orde di Visigoti la stessa fosse sorta spontanea dalla terra, la facciata ben orientata a ponente, il piccolo campanile a gettare un’ombra pietosa contro quel sole accecante.

Come fossero ad attenderci per un mai definito appuntamento, accompagnati dai due cani che ci avevano seguito con castigliana riservatezza, ecco due figuri appoggiati alla parete in ombra della chiesa.

Affatto inquietanti ci accolsero con un sorriso coi pochi denti ancora in loro possesso. Uno era sciancato e si appoggiava a una rudimentale stampella. L’altro era monòcolo, ma non aveva dei Ciclopi di omerico ricordo, l’aspetto minaccioso. Si avvicinarono a noi senza fretta e ci chiesero, o almeno così intesi, se volevamo visitare l’edificio.

A un mio cenno di assenso lo sciancato estrasse una chiave che avrebbe fatto invidia, per dimensioni e imponenza, allo stesso San Pietro e si adoperò per aprire il portale.

Mentre quello si dava da fare osservavo, tipici di quella zona, i mostriciattoli scolpiti sulla facciata, raffiguranti demoni, satiri e altre creature poco raccomandabili. Scolpiti sempre all’esterno di edifici religiosi sono lì a indicare che, oltre quella soglia, il buon cristiano gode di tutte le divine protezioni del caso, giacché l’accesso a quel corteo di blasfeme creature è proibito.

Sulla colonnina destra del portale si coglieva, consunta dal tempo, la raffigurazione di spighe di grano, sull’altra una strage di innocenti, dove i soldati eran raffigurati con cotte di maglia di foggia medievale. Scherzi della storia.

L’interno era gradevole, si intuivano affreschi ormai evanescenti, un piccolo altare, finestre ogivali dove gli alabastri erano stati rimpiazzati da plexiglas rimediato chissà dove. Il matroneo in legno pareva pericolante, ormai dominio di ragni e di insaziabili tarli.

Eppure, nonostante i segni del tempo, la luce d’occidente illuminava quelle vecchie pareti e tendendo l’orecchio, si poteva ascoltare il bisbigliare di antichi rosari e di preghiere.

Mi rivolsi dunque al mio paziente figliolo che mi aveva seguito fin li. “Vedi Andrés questa chiesa è dedicata al tuo santo” feci, sorridendo d’intesa ai nostri ciceroni.

Ma a quel punto fu l‘orbo a precisare che no, che la chiesa estaba ahora dedicada a San Roque.

Padre e figlio ci guardammo perplessi. “Possibile che per quattro case ci siano addirittura due chiese?” sembrava chiedermi Andy con lo sguardo. Uscii all’aperto. Nulla, a parte le suddette quattro case e la vallata sottostante, dove qualche mucca pascolava in rassegnato silenzio sotto il sole.

Sfoderando il mio spagnolo un po’ accademico chiesi lumi e questa fu la spiegazione che i due mi fornirono e che riporto con i caveat del caso.

“La iglesia è dedicata sì a San Andrés ma dato che la festa del santo cae el 30 de noviembre nessuno nadie verrebbe a las fiestas, nadie subíra aquí entre nieve y hielo. Nessuno verrebbe quassù a novembre tra neve e ghaccio. Entonces pensammo di dedicare la iglesia también anche a San Roque che si festeggia el dieciséis de agosto, más calor, más gente!”.

Cercando contenere il nostro sorriso nei limiti della decenza assentimmo con misurati movimenti del capo alla saggia decisione. Se già in agosto sarebbero stati in quattro gatti potevamo immaginare a fine novembre. La fede è importante ma anche il meteo merita d'esser preso in giusta considerazione. Chiedetelo a Noè.

Ecco dunque svelato il mistero!

Così, soddisfatti nella nostra naturale curiosità ci accomiatammo dai nostri due simpatici amici non prima di aver lasciato una piccola offerta para las fiestas.

In fondo, pensavo tra me e me, discendendo nel pomeriggio ormai avanzato, chi ci dice che non fossero proprio loro due, Andrés e Roque, venuti a portare un po’ di conforto, anche barando un po’ sulle date,  alle miserie di questo mondo? Alla fine ha ragione il profeta. Nomina nuda tenemus.

Settembre 2022

 

 

 

 

 

 

2022/04/22

2022 04 22 Helmuth Karl Bernhard von Moltke, generale tedesco (1800-1891)


 

"Divido i miei Ufficiali in quattro categorie: gli intelligenti, gli stupidi, i volenterosi ed i pigri. Ogni Ufficiale possiede almeno due di queste qualità.

Quelli che sono intelligenti e volenterosi sono idonei ad alti incarichi nello Stato Maggiore.

Si possono impiegare anche gli stupidi ed i pigri.

L’uomo che è ad un tempo intelligente e pigro è idoneo alla più alta funzione di comando: ha il temperamento ed il sangue freddo indispensabile per far fronte a tutte le circostanze.

Ma chi sia contemporaneamente stupido e volenteroso costituisce un grave pericolo e deve essere immediatamente destituito."

C.S.M. Von Moltke

2020/06/05

1527, Lutero e la peste





Lutero, che, nel 1527, si rifiutò di lasciare Wittenberg durante la peste, offre in queste poche parole un’indicazione, notevolmente attuale, circa come i cristiani debbano reagire a un’epidemia:


“Ecco, il Nemico, per fatalità divina, ci ha inviato veleno e malattia mortale.

E allora, prego Dio che sia disposto con grazia verso di noi e che ce ne difenda.

Poi, userò il fumo per purificare l’aria, darò e prenderò medicine,

eviterò luoghi e persone in cui non c’è bisogno di me, affinché io stesso non sia negligente e non intossichi e contagi altri, causando, con la mia negligenza, la loro morte.

Mentre se voglio avere il mio Dio, allora egli mi troverà; allora ho pur fatto quel che egli mi ha dato di fare e non sono in debito né a me stesso né ad altro essere umano.

Ma dove il mio prossimo ha bisogno di me, non eviterò né luoghi né persone; andrò invece dal mio prossimo e l’aiuterò, come detto sopra.

Ecco, questa è una fede retta, timorata di Dio, non stolida né sfrontata, e che non tenta Dio.“

(Martin Lutero, Ob man vom Sterben fliehen möge [Se si debba sfuggire la peste, lettera a J. Heß, 1527 durante la peste di Wittenberg], WA 23, 365-366)



Michael Jonas, Pastore

2013/06/06

Dostoevskij & Socialisti




"Chissà perché – mi sussurrò una volta – chissà perché tutti questi socialisti e comunisti arrabbiati sono allo stesso tempo così incredibilmente avari, così accaniti nell’acquistare e nel possedere, e questo a un punto tale che quanto più uno è socialista, quanto più è d’idee avanzate, tanto più forte è in lui l’attaccamento alla proprietà? "
da "I Demoni"

2013/05/09

Antropologia del nuotatore nell'A.D. 2013



In principio era un costumino e via. Ti gettavi nell'acqua azzurra della piscina senza troppi problemi. Poi venne la volta delle ciabattine "così non ti vengono i funghi sotto i piedi". Poi giunse, sempre per ragioni igienico-sanitarie, il tempo delle cuffie. Poi  quello degli occhialini (da nuoto). E qui, amici miei, mi sono fermato. Nel senso che le mie nuotate in vasca (mezz'ora tre volte la settimana) utilizzano questa attrezzatura ed è finita qui.

Ma il nuotatore dell'anno 2013 utilizza ben più sofisticati gadget: pinnette da piscina (o "da allenamento"); poi le palette da nuoto o, in alternativa dei guanti palmati; delle clips per chiudere il naso, oltre che gli indispensabili (?) tappi per orecchie. 

Qualcuno si presenta con maschera e boccaglio (anche per poter osservare lo splendido fondale a piastrine azzurre, ricco di scorci affascinanti e sempre pieno di sorprese).

Ma non finisce qui: orologi sofisticatissimi per misurare la prestazione, calcolare il battito cardiaco, la distanza percorsa, le calorie bruciate (sarebbe utile anche un GPS per non perdersi nei meandri della corsia 4, chissà?).

Ieri l'ho visto l’autentico nuotatore del 2013: aveva tutto addosso, sembrava un marziano, indossava perfino un lettore mp3 waterproof  (o forse una radio... si sa, è importante tenersi informati). Dopo una vestizione durata dieci minuti è partito, veloce come un Michael Phelps. I primi quaranta secondi lo hanno visto in un delfino che ha sollevato spruzzi fino al cielo. Alla seconda vasca l'entusiasmo iniziava a scemare. Alla terza ha cominciato con il cuscinetto, un tranquillo nuoto pinnato. Alla quarta ha trovato un amico e così hanno cominciato a parlare del Campionato, entrambi languidamente appoggiati al bordo. Mi sa che la traversata della Manica è rimandata. Almeno credo.

2012/06/19

2012 06 Romans do it better... (?)


In tutto il mondo (perlomeno quella parte di mondo che ho avuto modo di conoscere) se vedi arrivare un autobus leggi la scritta sul tabellone e capisci di che linea si tratta e in quale direzione sta viaggiando.

Ad esempio se sei a Madrid e vedi scritto "77 Fuencarral" hai una probabilità tendente ad uno che quella sia la linea 77 che viaggia in direzione di Fuencarral.

Che c'è di strano si chiederanno i miei amati lettori?

Beh, vi dirò, a Roma le cose non vanno proprio così.

Qualche giorno fa ero un po' perso dalle parti di Prati (il nome del quartiere evoca le distese verdi  che un tempo abbondavano nella zona, ora trasformata in una selva di mattoni, strade e cemento). Dato che mi muovo ormai da tempo solo con i mezzi pubblici allo scorgere una fermata d'autobus mi avvio in quella direzione in cerca di lumi.

Nel viale, stranamente deserto per l'ora, mi sorpassa un grosso bus arancione. Non riesco a leggere il tabellone anteriore ma mi aspetto di capire di che linea si tratta guardando la scritta sul retro.

Frattanto comincio, prudenzialmente, a correre. Il bus mi ha ormai sorpassato ma la scritta sul retro è del tutto nera. Di che linea si tratta? Con un ulteriore sforzo arrivo DAVANTI al mezzo dove leggo "23 Clodia".

Però un sospetto mi assale.

"Mi scusi" dico rivolgendomi all'autista che è impegnato in una fitta discussione al telefonino (però, ad onor del vero, con auricolare).

"Dica" replica l'autista.

"Ma questa è la linea 23?" chiedo.

"E che, non la legge la scritta?" replica il tizio.

"Bene, ma in direzione Pincherle oppure Clodia?" replico.

"Pincherle" risponde con una punta di noia.

"Non vorrei contraddirLa amico, ma qui c'è scritto Clodia. E inoltre dietro non c'è scritto niente".

Allora l'autista tira il freno a mano e scende dal mezzo. Si mette a guardare perplesso il tabellone con una posa a metà tra Eros Ramazzotti e Benito Mussolini.

"Vabbè, ar deposito se vede che se sò sbajati. Del resto è risaputo che questo è il 23 direzione Pincherle".

"Ma certo, pensi che lo insegnano pure nelle scuole" rispondo, fissandolo negli occhi con un'espressione che avrebbe fatto invidia a Clint Eastwood.

L'autista mi guarda con aria di sfida mentre risale sul mezzo. Poi si mette ad armeggiare per cambiare la scritta sul display.

Mi verrebbe da dire: "Non si disturbi, lo sanno tutti, pure questi turisti coreani, via Pincherle, perbacco...".

Ma poi cerco un posto, metto su le cuffiette e mi lascio naufragare nel vortice di Mozart.

2010/07/28

The day after...


Non so come andrà a finire a livello giudiziario, non so chi pagherà, non so se scatteranno sanzioni nè  se saranno imposte delle restrizioni alle trivellazioni off-shore.

Una cosa è certa: l'amministratore delegato di BP, Tony Hayward, se ne va; come sempre pagato profumatamente, una buona uscita da unmilioneseicentomila dollari americani e, per evitargli traumi psicologici, un incarico minore come direttore non esecutivo della TNK-BP (una 'venture' russa nel settore del petrolio e del gas).

Restano i detriti del disastro, la chiazza spaventosa, l'apocalisse in chiave minore.

Guardando le foto delle coste violentate, mi avvedo come non ci sia alcun bisogno di temere l'ira di Dio, ce la caviamo bene anche da soli, qui sul pianeta Terra.

Immagino come se la ride l'amico Hayward; tutto sommato è andata peggio ai cormorani, ai delfini, ai banchi di sardine, ai pescatori, ai lavoratori che hanno perso l'impiego, a quelli che hanno perso la vita (sia al momento dell'esplosione che nei giorni successivi, mentre procedevano i lavori per contenere il perimetro del disastro).

Le prove di Apocalisse proseguono, in nome del progresso, in nome del consumo, in nome dei SUV, dei jet privati. Tutto deve bruciare, tutto deve essere bruciato nella fiamma grassa ed oleosa che lascia, dietro di sè, un deserto senza speranza.

Spero che chi ha causato tutto questo, nella smania di risparmare sui costi di prevenzione rischi, sui costi di sicurezza, sui costi del personale paghi, più che in termini di soldi, o di galera, in termini di coscienza.

Ma forse per questi soggetti, tra una chirurgia plastica ed un lettino a raggi UVA, c'è stato modo di rimuoverla, questa inutile coscienza, con un intervento indolore.

Per continuare a giocare a golf indistrubati, mentre la fine (precoce e procurata) del mondo avanza a grandi passi.

Marco Lorenzo Faustini

2009/09/03

Blackout


Nel luglio del 1977, quando successe, io avevo sedici anni (quasi diciassette) e me lo ricordo bene. Mi riferisco a quella notte tra il 13 ed il 14 in cui a New York si verificò quello che -allora imparai- fu definito il "blackout".


Non è che ne sapessi molto, allora, della crisi finanziaria, della Borsa che sale (toro) o che scende (orso), del dollaro, dei cambi, dei comuni in dissesto, della congiuntura.

Per me, allora, allora New York era New York: un posto mitico e remoto, dove tutti portavano magliette con su scritto "I love NY" (love era sostituito da un cuore), tutti suonavano rock e jazz, tutti facevano all'amore senza problemi. Che forza!

E non fu tanto il crash tecnologico che mi colpì (molti fecero dell'ironia sul fatto che la 'capitale del mondo' venisse messa in ginocchio da una serie di fulmini ben indirizzati da Zeus in persona sulle stazioni (o sottostazioni?) di Buchanan South prima e di Indian Point dopo.

Quello che mi colpì veramente furono le scene di saccheggio, gli atti di vandalismo, i roghi che la televisione ci mostrò e che incrinarono di molto l'immagine dorata di quella città e di quel Paese.

E ancora: avrei capito se il vandalismo avesse coinvolto solo le comunità afroamericane (allora si diceva: "i neri") o i portoricani. Voglio dire: se approfittando del buio e dell'assenza della polizia i più sfigati avessero assaltato, che so, supermercati o macellerie, beh l'avrei anche capito.


Sarebbe rientrato nella mia visione del mondo, dove rubare per fame, per necessità, non è affatto un reato ma un diritto, avrei detto quasi un dovere.


Ma quello che mi lasciò di stucco fu vedere come anche impiegati della media borghesia (allora la parola "borghesia" era gettonatissima, perfino più di "classe") si organizzassero rapidamente a rubare Pontiacs oppure a portar via apparecchi "hi-fi" (l'hi-fi era un'altra parola mitica del tempo, se avevi l'impianto o meno era quasi allo stesso livello se ti eri trovato la morosa o meno).


Ecco: gli impiegati in camicia a maniche corte e cravatta, sudaticci e trafelati che si portano via, a spalla, amplificatori e casse acustiche, sintonizzatori e mixer, apparecchiature da DJ (cavolo anche "DJ" era una parola chiave)...


Che un sofisticato sistema possa andare in crisi non mi ha mai sconvolto più di tanto (anche oggi, nel 2009, ci dicono che a volte un aereo precipita perchè i computer di bordo si convincono di volare a 5000 metri mentre invece si trovano a 50).

Ma che la società vada così in crisi, anche quella che non ha troppi motivi di recriminazione, anche quella appagata e serena, coi i suoi giardinetti ben tagliati, la grossa auto comprata a rate, le vacanze in Florida con tappa obbligata da Disneyland, beh quello francamente mi sorprende...


Ma allora, mi chiedevo, innocente, non è tutto oro quello che luccica.


Ed in fondo non ho mai smesso di chiedermelo.

2009/04/07

La beffa "universale"


L'acronimo è in sè rassicurante: U.S.B. ossia Universal Serial Bus (traferitore di dati universale seriale).
Beh, direte voi, meglio di così: con un solo cavetto potremo dunque collegare apparati diversi tra di loro o, come avviene più spesso, ad un PC.
Ma qui casca l'asino: il connettore è universale sì, ma fino a un certo punto. Come un novello Giano bifronte esso è affetto da una forma di schizofrenia: da un lato la rassicurante connessione che funziona dappertutto, ma dall'altro è il baratro.

I vari produttori si sono infatti scatenati a disegnare ogni forma di connettore, ogivale, trapezoidale piccolo, grande, schiacciato, obliquo, tondetto, appuntito, spuntato...
E la considerazione non vale per una singola marca. No. Ad esempio se ho diversi modelli di telefono cellulare Nokia mi occorrono diversi connettori, quasi uno per modello! Comodissimo, soprattutto in viaggio, se devi portarti dietro qualche chilo di cavetti.
Ecco: questo è l'universale ai giorni nostri. Un concetto piuttosto limitato. Locale. Speriamo, a questo punto, che almeno il prossimo Diluvio "universale" colpisca, piuttosto che l'intero globo terracqueo, più modestamente, i soli possessori della stampante Epson modello 4812. Mentre per tutti gli altri continuerà a splendere un sole caldo e rassicurante. Speriamo bene...