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2010/03/12
Dhafer Youssef - Abu Nawas Rhapsody
E' stata una serata bellissima, qui alla Sala Petrassi. In quest'occasione Dhafer Youssef (Tunisia, 1967) ci ha fatto ascoltare i brani del suo nuovo CD (Abu Nawas Rhapsody). Un sorriso accattivante ed empatico, da mercante dal quale compreresti qualsiasi cosa, un'affabulazione che gioca, abilmente, sul melange di lingue (italiano, inglese, francese ed arabo), una parola simpatica per ciascuno dei tre musicisti al suo seguito: il pianista armeno Tigran Hamasyan "il più piccolino ma il più grande musicista del mondo", il contrabbassista canadese Chris Jennings "viene dal posto più brutto della Terra, Calgary, ed inoltre è pure mancino... eppure è un grande" ed il batterista Mark Giuliana "unico italiano del gruppo anche se nato, per errore, nel New Jersey".
Nella sua tunica bianchissima, col suo 'oud' trattato quasi con venerazione, Dhafer ci ha trasporta, su una sorta di tappeto volante musicale, tra brani che alternano al groove più arzigogolato momenti davvero lirici ed intensi.
Come spesso accade la musica bella evoca altra musica bella. Comprendiamo come questo artista attinga, in piena libertà, dalla fusion al jazz, dalla vocalità maghrebina alle scale frigie, dai suoni della kasbah all'avanguardia.
Ma questa splendida sintesi si compie restando sempre nell'alveo di una musicalità a spiccata matrice araba. L'uso della voce, in particolare, spazia dai timbri profondi a suoni acutissimi, quasi di cornetta, il corpo che fa da cassa di risonanza, vibrando per intero, generando suoni che sembrano disconoscere qualsiasi confine di registro, nè maschili nè femminili, tra falsetto e grido, tra sussurro e parola. Un canto che a tratti, ricordando Albert Camus, risuona nel buio della notte "come un fiore nato dal silenzio".
Intorno al solista i tre giovani e validissimi collaboratori registrano, con raffinata sensibilità, i cambi di ritmo, di velocità, di volume. Splendido il pianismo sofisticato di Hamasyan, vero complice e co-leader. Ma non da meno gli altri due componenti di questo quartetto così ben rodato. Lo spazio lasciato a ciascuno di loro consente al pubblico di apprezzare la preparazione a tutto campo dei musicisti.
Una serata che lascia davvero molto desiderio di tornare ad ascoltare questa bella gente. Da non perdere.
Marco Lorenzo Faustini
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