L'amore tra un essere immortale ed uno mortale è tema fondante della mitologia classica. Per gli antichi greci i destini degli uomini, mortali per eccellenza, erano continuamente intersecati con quelli di dèi annoiati e fastidiosi, gelosi e furenti, rancorosi e solo raramente generosi.
La vita degli umani era dunque letta come una sequenza di prove, trappole più o meno diabolicamente architettate che, se superate, consentivano agli sventurati di tirare ancora un po' avanti, ossia di protrarre nel tempo la loro condizione imperfetta.
Altrimenti l'ira vendicatrice di Zeus (ossia il Dio) o di qualcuno della sua sconfinata corte scatenava vendette su vendette che potevano abbattersi non solo sullo sfortunato ma anche sui propri figli (le colpe dei padri ricadono, in tutta la Tragedia greca, sempre su di loro). La 'pietas' era, allora come ora, sentimento piuttosto raro.
Ma la distinzione umano/divino non è del tutto netta. Ecco allora che Achille nasce divino, 'immerso' letteralmente di immortalità nello Stige, tranne che nel punto in cui sarà penetrato da freccia (o spada a secondo delle versioni). Del resto l'eroismo di Achille verrebbe meno se egli fosse stato del tutto immortale. Che eroe-guerriero è colui che mai può perdere la propria vita in battaglia?
Ma anche Enea, dall'altro campo di Ilio assediata, è figlio del mortale Anchise e di Afrodite. Del resto il sommo Virgilio, raccontandone le gesta, voleva celebrare una fondazione mitica e divina dell'Urbe (Enea è progenitore di Roma) ma pure voleva dimostrare che la città fu costruita col sudore, con le lacrime, col sangue.
Ecco di nuovo il tema: del mortale e dell'immortale intrecciati tra loro come gli elicoidi del DNA. Del resto un Dio piuttosto prepotente ed imperscrutabile è quello che si accanisce contro Giobbe. Un Dio veterotestamentario, ben diverso da quello molto più empatico ed intimo della condizione umana che dopo di Lui verrà: Cristo.
Tra l'altro la natura divina del concepimento di Gesù avviene, diversamente che nella mitologia greca, senza ratti, violenze, stupri. E' l'Angelo che propone alla Vergine, in una delle pagine più dense di poesia, di accogliere nel proprio grembo "il figlio dell'Uomo".
Ma è la psicanalisi che forse meglio aiuta a comprendere il tema dell'immortale che, per poter vivere una 'vera' vita, quella delle scelte, dei dubbi, dei sentieri perduti e ritrovati, dovrà abbandonare, giocoforza, la sua condizione divina. La scelta consapevole di vivere è, dunque, anche la scelta di invecchiare e morire.
In fondo è successo a tutti, da piccoli di crederci: astronauti, pompieri, poliziotti, oppure regine, stelle del cinema. In effetti da piccoli, potenzialmente, possiamo essere tutto. E tutti. Ma è la nostra mortalità che ci obbliga a scegliere, tra l'infinito giardino dei sentieri che si biforcano, la nostra strada, quella che è solo per noi, la nostra vita.
Ogni tentativo di 'rinviare' le nostre scelte mortali è sintomo di alienazione. Stiamo indossando, in quel caso sciagurato e patologico, i panni di un altro: "alius", appunto. Cioè siamo tutto tranne che noi stessi.
Ed invece la saggezza degli antichi a questo ci esortava: ad essere noi stessi, nè più nè meno: ad affrontare le prove della vita, a camminare da soli nei boschi, a subìre i riti di passaggio. Partorirai con dolore. Guadagnerai il pane col sudore della fronte. A volte riderai, sorriderai, a volte piangerai, ma sarai, in una sola parola: vivo.
Ecco perchè mi auguro che la saga tanto amata rechi questo messaggio, dia le giuste indicazioni che portino dalla non-vita alla vita, dal non-essere all'essere, dal tempo infinito a quello, brevissimo, dell'esistenza. ("la vita è un fiato" dice Giobbe in un lungo sospiro).
E dunque spero che sia il bel pipistrello a scendere nell'agone della vita, e non la sofferta fanciulla a salire in un empireo senza giorno e senza notte.
E ad entrambi, finalmente "umani troppo umani", augurerei una lunga, serena vita insieme.
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