2010/10/20

Lasciami Entrare


Curioso come lo stesso tema, quello dell'amore impossibile tra un essere umano, e dunque mortale, ed un pressochè immortale vampiro, possa essere sviluppato su direzioni tanto diverse e con risultati tanto divergenti.

Chi vi scrive si è già dilungato su "Twilight" (vedi http://lobetablog.blogspot.com/2010/02/antropologia-di-twilight.html); molto più interessante, perchè più rude, contundente e certamente meno edulcorato, per i temi etici sollevati, "Lasciami entrare" (titolo originale "Låt den rätte komma in", 2008) del regista svedese Tomas Alfredson.

In questo caso quel che è analizzato, e a fondo, è il tema del "male" contrapposto a quello della "malvagità".

La bambina Eli, che ha "da molto tempo dodici anni", necessita di bere sangue umano per sopravvivere.

Nella periferia di Stoccolma, tra parchi deserti e sommersi di neve, resi irreali da una luce che -naturale o artificiale- illumina le cose in un alone di inquieta solitudine, incontra Oskar, un suo coetaneo dalla natura schiva e contemplativa.

Tra i due si sviluppa una relazione che, se da un lato aiuta lui a prendere forza e a ribellarsi alle sopraffazioni di compagni di scuola bulli e, come vedremo, potenzialmente assassini, dall'altro porta Oskar a salvare Eli, che vive incaspulata nel suo limbo notturno, lunare, che non teme il freddo, che non teme nulla se non la luce del sole. E a sua volta, questa relazione curiosa e quasi incomprensibile, permette a Eli di salvare Oskar.

Eppure la visione del "male" (che genera dolore e morte ma col solo fine di consentire la sopravvivenza) è perfino accettabile, concepibile, al pari dei terremoti, delle inondazioni, delle malattie; in altre parole è un "male" perfino sopportabile.

Mentre è proprio la "malvagità" ad essere descritta come prodotto tipico, specifico ed odioso, della razza umana. Tale "malvagità" viene messa a nudo, orrenda, con tutto il suo carico di sadismo, di sopraffazione, di violenza.

E tutto questo viene narrato raccontando un'umanità isolata, alienata, sperduta, senza rapporti autentici (non è un caso che sia l'alfabeto Morse, con la sua sequenza di punti e linee, a sostituirsi alla parola, al logos).

Un'incomunicabilità suburbana che sarebbe piaciuta a Bergman e che non chiude del tutto a una speranza, pur se flebilissima, di farcela, in questa vita difficile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che bello sei propio bravo a scrivere papa.. !!!X)