2009/04/24

Marco Lorenzo Faustini, compositore



Correva l'anno 1990 ed il sottoscritto faceva vita d'artista, suonicchiando, con scarso successo, in vari locali e localucci della capitale. Per darmi un tono pensai di aggiungere la dicitura 'compositore' al mio biglietto da visita.

Ma, affinché il titolo non fosse millantato, feci regolare domanda per effettuare la prova presso la competente sede SIAE. Compilai i venticinque moduli di rito, pagai giudiziosamente i quattro bollettini di conto corrente postale ed attesi.

Attesi fiducioso, intendo, per una settimana, poi due, poi tre. Alla fine mi risolsi a contattare la mitica Società Italiana Autori ed Editori. La risposta, amabilissima, di un impiegato appena seccato fu che dovevo pazientare e che le pratiche in corso erano moltissime.

Mi ero iscritto alla prova più ardua: melodista trascrittore. Ero eccitatissimo. Finalmente la convocazione arrivò, in forma di inquietante raccomandata A.R., e così mi presentai presso la sede, che era dalle parti di Corso d'Italia.

Quando arrivai all'indirizzo indicato ebbi come una sorta di oscuro presentimento: di aver sbagliato, di essermi confuso, che non fosse lì, che non fosse allora...

La palazzina, infatti, sembrava essere stata oggetto di un bombardamento: pareti aperte, tramezzi schiantati, finestre senza infissi, ponteggi, detriti, sacchi di sabbia, mattoni, carrucole, malta...

Mi arrampicai, con timore, per due piani con un baratro che mi scrutava ansioso di inghiottirmi.

Suonai al campanello. "Che è per la prova?" mi chiese l'addetto. "Si" risposi cercando di non mettere i piedi sui cavi della corrente e schivando una grossa chiazza di cemento fresco.

"S'accomodi". Entrai.

Mi introdusse, il tipo, in una saletta che ricordava le celle dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Mancavano solo la branda ed il pitale. Una sorta di gabbia oscura con un piano verticale che aveva conosciuto tempi migliori (inorridii vedendo le bruciature di sigaretta sui tasti ingialliti dal tempo). Una seggiola sbilenca con la paglia piuttosto consumata, un tavolino con della carta da musica. Penna, matita e gomma per cancellare completavano l'ameno quadretto.

Il tipo mi porse due buste sigillate con tanto di ceralacca. Dovevo completare, sulla carta da musica, almeno trentadue battute a partire dalle due iniziali suggerite dai foglietti nella busta. Tre ore di tempo.

Mi misi al lavoro: il primo tema era una sorta di marcetta in fa maggiore. La completai in mezz'oretta (in fondo dovevo solo dimostrare un minimo di competenza armonica). Suonavo il motivo sul piano (immaginate l'accordatura!) e lo trascrivevo cercando di fare un lavoretto pulito.

Il secondo tema era un valzerino. Mi divertii a fare una cosetta perfino leggiadra. Lo suonai due tre volte quando sentii un rumore, un boato, e temetti per la mia vita. Mi segnai da cattolico fervente credendo che il pavimento mi stesse inghiottendo. In fondo siamo in Italia, pensai credendo fosse giunto il momento di accomiatarmi dalla mia vita mortale.

Invece no, non era giunta l'ora. Era solo un martello pneumatico che per i successivi tre quarti d'ora mio rintronò nel cervello. Dal soffitto cadeva, come neve, una polvere bianca, e anche qualche frammento di calcinaccio.

Alla fine (non era passata neanche un'ora) presi quando da me faticosamente composto e lo portai al tipo che, nel frattempo era assai impegnato a leggere la "Gazzetta dello Sport" mentre teneva una nazionale tra le labbra.

"Che fa, riconsegna?" Annuii dato che il frastuono non consentiva un facile scambio di idee.

"Aspetti, metta una firma qua" indicò il tipo, puntando un dito ingiallito dalla nicotina.

C'era una liberatoria che recitava così: "Con la presente dichiaro di aver completato la prova nelle migliori condizioni ambientali, essendomi stati forniti i mezzi e gli strumenti idonei allo svolgimento della stessa, senza essere stato in alcun modo intralciato da rumori molesti o da altri elementi di disturbo".

"Tutto a posto" disse il tipo vedendo che mi affrettavo a firmare. Frattanto il martello pneumatico si era fermato. Adesso andavano giù di piccone.

Mi allontanai mentre uno dei muratori stava intonando "Er barcarolo va... ".


Dopo sessantun giorni mi arrivò la lettera che mi confermava il titolo di compositore...ed ero pure sopravvissuto! Felice e superstite presi a gridare dal balcone: " Viva V.E.R.D.I.!!! ".

E chi mi capisce è bravo.


Nessun commento: