Avete mai pensato, vent'anni fa, a come sareste stati oggi?
Non è un esercizio facile e, se vogliamo dirla tutta, non c'entrano molto né l'intelligenza, né la cultura, né il censo. C'è, più che altro, quella voglia profonda di esplorare noi stessi. E c'è chi ce l'ha e chi no.
Conosco persone che sanno risolvere un problema matematico complesso, oppure sanno diagnosticare, con successo, una malattia rarissima. Eppure se provi a fargli una domanda del genere entrano in crisi totale. Ti guardano con un'aria da cane bastonato. O magari si offendono pure, come gli avessimo rivolto una proposta oscena.
Per conoscere sé stessi un tempo gli uomini andavano nel deserto. O nei boschi, da soli. Era una sorta di rito di iniziazione. E non era tanto per sfidare il pericolo, la notte solitaria nella selva oscura, i leoni e le bestie feroci. Era per trovare sé stessi, per esplorare e conoscere i propri limiti.
Oggi preferiamo delegare tutto ad altri. Abbiamo realizzato una sorta di outsourcing per la gestione delle nostre anime. Se non ce la facciamo con una pillola (c'è una pillola per tutto, per la gioia delle industre del farmaco) ricorriamo allo specialista.
Incapaci di guardarci allo specchio, se non quando facciamo il maquillage, incapaci di vivere insieme a noi stessi. Incapaci di affrontare la noia, la solitudine.
Avete visto i bambini? Sono terrorizzati dal'idea di passare mezz'ora annoiandosi in una sala d'attesa. E noi, per non farli soffrire, poverini, li armiamo prontamente di console. Meglio un breve black-out cerebrale, con movimenti leggermente spastici e un principio di epilessia, che non la prospettiva di un po' di sana noia. L'ho letto sulla pubblicità della Play Station!
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