2007/09/06

4 mesi 2 settimane 3 giorni


Non mi è mai successo di sentirmi tanto coinvolto in un film; forse, qualche volta, a teatro, ma solo davanti ad attori immensi, a testi immensi.
In questo caso ho provato la curiosa e quasi inquietante sensazione di stare seduto in un angolo di quella stanza d'albergo dove la storia di queste due amiche mi scorreva davanti ed era come se io fossi lì, come se loro fossero anche amiche mie ed io restassi muto, di lato, solo per discrezione, per pudore.
Non era una bobina di celluloide che girava, ma la vita stessa, ed io ero lì, a temere con loro, a dubitare, a tirare sospiri di sollievo, a stringere i pugni, a trepidare.

Mi ha colpito la capacità del regista (Cristian Mungiu) e degli attori (Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov) di manipolare i miei stati d'animo con la stessa destrezza con cui un mastro vetraio di Murano crea, da una pasta di vetro incandescente, l'immagine di un angelo oppure di un demonio o un Arlecchino danzante.

Di che parla, il film? Dell'aborto? Di un'esperienza difficile, dura da raccontare, più facile da relegare in un luogo oscuro della memoria? Dei rapporti tra le persone, tra chi usa e chi si lascia usare? Tra chi sembra fragile e chi fragile lo è davvero?

Certo è che non ho smesso di pensare a quelle due ragazze, a quella Romania del 1987, tanto tempo fa eppure, in fondo, solo un istante fa. Cambiano le situazioni, i contesti storici, ma il degrado, il disagio, la solitudine, la solidarietà sono sentimenti assolutamente immutabili e, in questo caso, descritti un modo veramente superlativo.

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