2007/06/01

Immortalità




"Quanto vi era di mortale in Albecht Dürer giace in questa tomba" recita l'epitaffio, in Norimberga, del sommo artista tedesco Albrecht Dürer (1471-1528).

L'immortalità fu l'ossessione, il leitmotiv, la struttura portante della sua ispirazione.
Immortalità: non tanto quella dell'anima (Albrecht rimase sempre cattolico pur avendo molti rapporti con la neonata chiesa Luterana) ma quella umana.

Nei suoi carteggi con Erasmo, con Luca Pacioli, con Raffaello si interrogava incessantemente sulla memoria futura presso gli uomini, sul come sarebbe stato ricordato dalla posterità.
Ecco dunque il suo interesse nell'auto ritrarsi, nel mettere sè stesso al centro della scena. Il primo autoritratto, tracciato all'età di 13 anni, è forse uno dei primi dell'intera pittura europea!

Da allora Dürer ci proporrà spesso la propria immagine, dall' "Autoritratto col fiore d'eringio", all' "Ercole nudo", al "Dürer-Cristo" addirittura!

Fosse meno genio non lo sopporteremmo, ma da lui si, possiamo accettare quest'ondata di autoreferenzialità, perfino nel 'logo' della sua firma.

Di nuovo osserviamo come Dürer sia un classico, nel senso che egli risulta del tutto contemporaneo, alla nostra epoca, a TUTTE le epoche.

Il suo viso di gentiluomo, volitivo e fragile, scansa con destrezza la polvere dei secoli e ci trasmette un'eleganza che è, quella sì, veramente immortale. L'idea dell'artista come il massimo esponente di una civiltà.
Cos'è rimasto, in fondo, dei ricchi banchieri, dei commercianti, dei condottieri? Nulla, neppure la polvere delle loro ossa. Ma lo sguardo profondo, assolutamente cosciente di sè dell'artista ci fissa dalle tele, dalle incisioni, da ogni opera.
Di nuovo comprendiamo, con Kant, come l'arte non sia la rappresentazione di una bella cosa, ma la bella rappresentazione di una cosa. Sia essa una lepre, un ciuffo d'erba o un Cristo Glorioso.
(continua)

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