2009/01/15

274" in compagnia dell'amico Franz Schubert


In questa mia nota vorrei commentarvi un piccolo capolavoro composto nel 1827 da Franz Schubert (1797-1828).

Mi riferisco al 2° momento in Mib maggiore dell' "Impromptus D.899". Come esecutore mi affido all'ottimo Alfred Brendel, pianista austriaco, classe 1931, che registrò questo concerto nel 1972 per la Philips.

Ma andiamo per ordine.
I primi 23" ci propongono, su una scansione ternaria, una serie di scale ascendenti e discendenti appunto nella tonalità di Mib maggiore. Il fraseggio è volutamente delicato, gentile. La chiave interpretativa è 'leggerezza'.
Ma già nei successivi 18" (vi risparmio il conteggio delle battute supponendo che non tutti siate in possesso della partitura) il tono muta in minore e si entra in una serie di cadenze vorticose che culminano, a 41", in un primo affondo drammatico.
Questo è Franz Schubert: una straordinaria capacità di costruire momenti musicali che possono passare da un paesaggio sereno e lirico alla più totale drammaticità con un leggero colpo di timone.

Schubert, a questo scopo, non ha bisogno di scomodare grandi effetti. Il suo talento -molto istintivo, mozartiano- gli consente una padronanza assoluta dei mezzi compositivi. Il massimo risultato arriva, dunque, col minimo sforzo.

Per circa 7" il brano è sospeso in una sorta di 'ponte' come in attesa di decidere dove dirigersi. Ed il mestiere impone all'autore di riproporre il tema iniziale, le scale che salgono e scendono ma sempre con piccole variazioni su tema.

Già da 1' al 1'14" il tema si inviluppa in un crescendo drammatico (che Brendel esegue senza lasciarsi trascinare dalla retorica; del resto, amici miei, siamo tra austriaci !).

Al 1'17" c'è il primo passaggio veramente forte. Già ci siamo perduti quell'avvio così delicato. Il pianoforte non è, nella concezione schubertiana, uno strumento per signorine. Esso è il mezzo meccanico per eccellenza per esprimere i più diversi stati d'animo: la tristezza, l'amore, la paura, la morte.

Ed il compositore veicola questo flusso di coscienza avendo cura di disporlo con perizia nel tempo, evitando il rischio di overflow comunicativo, creando un canale quasi privilegiato (da poeta a poeta, da cuore a cuore) con l'ascoltatore.

Schubert è quello che brucia la propria vita in nemmeno 32 (trentadue !) anni. E' quello che vive nei caffè viennesi, che si inventa questi recital (schubertiadi) che incantano gli avventori.

All'1'35" il tema stempera il proprio dramma interiore (vedete il controllo assoluto?). Era facile, a questo punto, proseguire inerzialmente con l'idea fin qui costruita. Invece Schubert (e Brendel) frenano.

All'1'45" un nuovo spunto che è parente stretto di quanto fin qui ascoltato ma che riesce ad aprirsi offrendo nuove intuizioni da seguire.

A 2'18" ancora un esempio di perfetta conduzione della platonica biga alata. Qui l'auriga-Schubert non si lascia mai prendere le redini da cavalli troppo inquieti.

A 2'34" il brano raggiunge la massima intensità drammatica (fino a 2'44").
Da lì si comincia ad intravvedere il meraviglioso prodigio compositivo. I fili che sembravano sciolti tornano magicamente ad intrecciarsi. Questa è la poiesi, la forza creativa, che smentisce il banale principio fisico che nulla si crea (alla faccia di Lavoisier!).
A 3'32" il brano ci è ormai familiare. Si torna alla radura iniziale, la quiete dopo la tempesta in questo "jeu de boule à neige" dove il nostro amico-Demiurgo si diverte a scatenare tempeste e a sedarle.

A 4' di nuovo una ripresa drammatica. Ma ormai nulla ci fa più paura. La bufera si stempera in una parvenza di valzer vorticoso (quanto deve Chopin a Schubert?).
Ed il brano si conclude così, lasciandoci quasi tramortiti. C'è passato davanti un mondo, una meteora ha solcato la notte confondendo, con sapienza, le luci e le ombre.

E tutto in 274" netti. Provare per credere.

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