2007/06/18

Scommesse sulla nostra pelle


Carissimi, qualche giorno fa parlavamo del libro biblico di "Giobbe" protagonista involontario di una scommessa (o forse di una tentazione) proposta da Satana a Jahvè (Dio).

Gesù Cristo, al contrario di Jahvè, tentato da Satana durante i 40 giorni di meditazione nel deserto, non accetta scommessa alcuna e questa, per noi uomini, è una gran fortuna, nel senso che, per una volta almeno, nessun mortale viene messo alla prova (Matteo, cap.4).

Ma tante sono le scommesse di cui noi poveri esseri siamo vittime inconsapevoli ed involontarie.

Parliamo oggi di Tiresia, l'indovino. Mai uomo fu tanto sfortunato: vedendo una coppia di serpenti che copulava uccise, disgustato, la femmina, e da uomo in donna fu trasformato. Per sette anni (numero magico!) potè godere del piacere al femminile. Poi di nuovo si imbattè in una coppia di serpenti, anch'essi impegnati in un amplesso, e questa volta uccise il maschio e fu ri-trasformato in uomo.

Zeus ed Era dibattevano un giorno su chi traesse maggior piacere dal sesso, se il maschio o la femmina. Lo sventurato Tiresia fu chiamato (trascinato, sospetto) al loro cospetto. "Il piacere è dieci parti: l'uomo ne prova solo una, la donna nove" sentenziò il Nostro, messo alle strette.

Era, però, si infuriò a sentire svelato in tal modo il segreto femminile (chissà perchè?) e rese cieco lo sventurato indovino. Ma Zeus gli concesse, e non so se per Tiresia fosse un gran sollievo, il dono di prevedere il futuro.

Sarà Tiresia, secondo Sofocle, a rivelare al re Edipo la sua vera origine. Altra sciagura. Un vero sfigato.

Morale della favola: comportiamoci sempre con rettitudine. E rendiamo conto in primo luogo a noi stessi del bene e del male compiuto. Cosa vorranno fare di noi gli dei dell'Olimpo, oppure Al-lah (l'arabo "il-dio"), o Jahvè (o meglio l'impronunciabile YHWH) non ci è dato di sapere.

Come dice il sapiente, noi mortali solo "nomina nuda tenemus" (1), solo nudi nomi possediamo, null'altro.

(1) celebre finale del "Nome della Rosa" di Eco, rielaborato da un verso del monaco benedettino Bernardo Morliacense.

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