Marcus Strickland: sax tenore e soprano
David Bryant: pianoforte
Luques Curtis: contrabbasso
John Davis: batteria
8 ottobre 2008
Casa del Jazz
La serata è inserita in quella lodevole iniziativa che, col nome di "New York City Scenes", intende proporre al pubblico romano gli artisti più interessanti che operano nella Grande Mela. E questa è la volta di Marcus Strickland. Talento emergente, senza dubbio, questo sassofonista è nato a Gainesville (Florida) nel 1979; tra le tante collaborazioni ad alto livello in cui si è distinto ci limitiamo a segnalare quelle con Jeff Watts, con Dave Douglas e con Roy Haynes.
Il quartetto parte con un brano di Bjork (bello questo jazz che succhia energia da tutte le parti). Si vede subito che la serata promette bene, con il band leader che si mette alla ricerca paziente della frase perfetta, per approssimazioni successive, creando un crescendo di passione e partecipazione.
Il drumming di Davis è debordante, ma con simpatia; anche lui prende a piene mani da tanti maestri (Roy Haynes più di tutti, credo) ma sempre sapendo miscelare con originalità questi materiali.
Si va avanti e, brano dopo brano, la dicotomia tra sax & drums da una parte e, più pacati e riflessivi, piano e contrabbasso, si va accentuando ma ciò nonostante sempre mantenendo quel giusto bilanciamento che porta ad un suono finale accattivante e pieno di suggestioni.
Sia nei brani dalla scansione più rapida che nelle ballad la sonorità dei due sax di Markus colpiscono per pulizia ed eleganza, anche nei passaggi più impegnativi.
David Bryant ci piace per un pianismo molto essenziale; si prende tutto il suo tempo per costruire soli molto eleganti. Concentrato, serio, attento. Molto bravo e preparato.
Di Davis abbiamo già parlato: si fa perdonare il suo essere, alle volte, un po' sopra le righe, ma il suo lavoro è sempre molto interessante.
Gli ultimi brani sono caratterizzati da un fraseggio afro (uno, particolarmente bello, è in 6/8) e creano pulsazioni ritmiche veramente trascinanti.
Anche il giovane Luques Curtis è sempre molto attento e contribuisce, per parte sua, a realizzare un tappeto ritmico-armonico che, pur se sofisticato, risulta sempre molto limpido e comprensibile.
Nel'insieme un concerto estremamente piacevole con artisti molto capaci di comunicare le proprie emozioni. Con tre afro-americani nel quartetto è logico che, salutando il pubblico, venga pronunciato, da Markus, il nome del neo-eletto presidente USA Obama. E' una cultura 'black' che viene finalmente in piena luce, con tutto il suo tesoro di tradizione, di dignità, di stile.
David Bryant: pianoforte
Luques Curtis: contrabbasso
John Davis: batteria
8 ottobre 2008
Casa del Jazz
La serata è inserita in quella lodevole iniziativa che, col nome di "New York City Scenes", intende proporre al pubblico romano gli artisti più interessanti che operano nella Grande Mela. E questa è la volta di Marcus Strickland. Talento emergente, senza dubbio, questo sassofonista è nato a Gainesville (Florida) nel 1979; tra le tante collaborazioni ad alto livello in cui si è distinto ci limitiamo a segnalare quelle con Jeff Watts, con Dave Douglas e con Roy Haynes.
Il quartetto parte con un brano di Bjork (bello questo jazz che succhia energia da tutte le parti). Si vede subito che la serata promette bene, con il band leader che si mette alla ricerca paziente della frase perfetta, per approssimazioni successive, creando un crescendo di passione e partecipazione.
Il drumming di Davis è debordante, ma con simpatia; anche lui prende a piene mani da tanti maestri (Roy Haynes più di tutti, credo) ma sempre sapendo miscelare con originalità questi materiali.
Si va avanti e, brano dopo brano, la dicotomia tra sax & drums da una parte e, più pacati e riflessivi, piano e contrabbasso, si va accentuando ma ciò nonostante sempre mantenendo quel giusto bilanciamento che porta ad un suono finale accattivante e pieno di suggestioni.
Sia nei brani dalla scansione più rapida che nelle ballad la sonorità dei due sax di Markus colpiscono per pulizia ed eleganza, anche nei passaggi più impegnativi.
David Bryant ci piace per un pianismo molto essenziale; si prende tutto il suo tempo per costruire soli molto eleganti. Concentrato, serio, attento. Molto bravo e preparato.
Di Davis abbiamo già parlato: si fa perdonare il suo essere, alle volte, un po' sopra le righe, ma il suo lavoro è sempre molto interessante.
Gli ultimi brani sono caratterizzati da un fraseggio afro (uno, particolarmente bello, è in 6/8) e creano pulsazioni ritmiche veramente trascinanti.
Anche il giovane Luques Curtis è sempre molto attento e contribuisce, per parte sua, a realizzare un tappeto ritmico-armonico che, pur se sofisticato, risulta sempre molto limpido e comprensibile.
Nel'insieme un concerto estremamente piacevole con artisti molto capaci di comunicare le proprie emozioni. Con tre afro-americani nel quartetto è logico che, salutando il pubblico, venga pronunciato, da Markus, il nome del neo-eletto presidente USA Obama. E' una cultura 'black' che viene finalmente in piena luce, con tutto il suo tesoro di tradizione, di dignità, di stile.
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